Depressione, Malattia, Vuoto di Senso: Cosa li lega?

Depressione, Malattia, Vuoto di Senso: Cosa li lega?

Molto spesso sento o leggo il termine malattia per riferirsi alla depressione, all’ansia o a qualsiasi altra forma di disagioche possa avere a che fare con la psicologia o con le emozioni negative non transitorie.

Di recente ho letto un articolo molto interessante sulla depressione nascosta che mi ha piacevolmente colpita per alcuni aspetti ma che, nello stesso tempo, mi ha portata a riflettere sull’uso che facciamo della parola “malattia”, soprattutto quando essa è riferita alla depressione o all’ansia e al disagio psicologico in generale.

Professionalmente non posso essere d’accordo con l’utilizzo della parola “malattia” sia perchè contribuisce allo stigma sociale di chi soffre per un disagio psicologico, sia perchè il termine “malattia” fa pensare a qualcosa che ci colpisce dall’esterno, qualcosa che “viene” e se ne può andare attraverso una cura senza più lasciare traccia in noi, come un virus o un batterio.

La sofferenza, il disagio, il malessere psicologico, prenda esso la forma dell’ansia, della depressione, dell’insoddisfazione e 1000 altre forme ancora, va attraversata, vissuta, abitata. Non sempre questo processo può essere svolto da soli, non perchè non si è capaci ma perchè è nella relazione e attraverso di essa che si ritorna poi a se stessi, arricchiti da quella stessa sofferenza che prima si voleva soltanto cancellare o annullare.

Il tempo della mente, dell’elaborazione profonda, del cambiamento personale, scorre lento. A volte sembra immobile e, forse, si immobilizza davvero quanto più cerchiamo di sollecitarlo e spingerlo. A volte il tempo ha bisogno di occupare uno spazio; spazio altro e diverso da tutti gli altri. Uno spazio di sospensione dall’affannosa ricerca di significati, spiegazioni e sensi.

Ne “I giorni dell’abbandono” ad un certo punto il protagonista maschile, poco prima di lasciare casa sua, dice alla moglie “Ho un vuoto di senso”. Ho visto questo film per la prima volta anni fa, da poco laureata. Il vuoto di senso mi appariva e mi arrivava allora come un buco nero circondato da una materia fatta invece di sensi;

Sensi che però rischiavano di scivolare nel buco nero del vuoto di senso: mi arrivava e lo sentivo come l’evento mentale più terribile che potesse accadere ad una persona.  Una cosa che non può essere neanche detta senza scatenare nell’altro preoccupazione, agitazione, non comprensione, svalutazione o sopravvalutazione.

Ho ritrovato spesso il vuoto di senso nella mia pratica.

Ho capito che spesso quel vuoto di senso va rispettato, che la persona che ho di fronte ha bisogno solo che io tolleri assieme a lei questa mancanza di senso e la paura che tutto il senso che c’è attorno possa finire nel vuoto, cadere come Alice in un tunnel senza fine. Quando al vuoto di senso viene dato un nome improprio (malattia ad esempio), lo si costringe in un significato che non gli appartiene, non lo si guarda per quello che è, non lo si vede proprio, lo si ignora.

Forse per questo il vuoto di senso fa molto male: si agita, scalpita, colpisce, sta sveglio di notte. Per farsi vedere.

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Buona Salute

Eleonora Vivo

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